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Quando ammirare l’arte non basta più, nascono le mostre immersive. Maxi schermi in cui i pixel prendono il posto delle pennellate. Perché ci piacciono le mostre immersive e perché questo nuovo modo di fruire l’arte sfugge a ogni classificazione.

Il mondo dell’arte, si sa, è sempre in evoluzione. Nuove forme, linguaggi e mezzi d’espressione vengono messi alla prova quotidianamente, sempre più in ottica di connessione e digitalizzazione. Mischiandosi e contaminandosi con la tecnologia, l’arte si trasforma continuamente sperimentando nuove modalità di fruizione.

E così, per tutte le volte in cui, guardando un’opera d’arte al museo, avremmo voluto sentirci i protagonisti del quadro che stavamo ammirando, con le mostre immersive ora è possibile.

I musei tradizionali lasciano il posto a nuovi spazi museali in cui costruire esperienze multisensoriali. L’esperienza di visita diventa sempre più sociale ed emotiva, stimolando legami e contaminazioni.
La tendenza delle mostre immersive piace tanto. Piace perché è democratica, un po’ pop. Perché permette di toccare l’arte, di giocarci.

Parola d’ordine: connessione

Camminare tra i campi di grano di Van Gogh, sentirsi minuscoli tra i colori della tavolozza di Monet. Alcune mostre immersive uniscono i più grandi nomi della storia dell’arte all’innovazione della tecnologia.
Enormi spazi studiati per far entrare i visitatori letteralmente dentro un quadro. Le pennellate vengono proiettate su maxi schermi e attraverso giochi di luci, colori, ma anche suoni, la sensazione non è più quella di star guardando un quadro, ma di percepirlo con tutti i sensi.

La parola d’ordine che descrive al meglio questo nuovo modo di fruire l’arte è una soltanto. Connessione.
Entrando in una di queste mostre, la bidimensionalità lascia spazio a una superficie multiforme e senza spigoli in cui il visitatore può comunicare con l’opera in cui è immerso, diventando parte di un’esperienza che investe davvero tutti i sensi.

Diventa riduttivo parlare di visita, appunto. La classica gita al museo si trasforma in un vero e proprio viaggio che coinvolge tutti i presenti. 

quote

La cultura deve espandersi in estensioni digitali, in dipartimenti digitali, in attività digitali. […] I musei possono ancora rimanere come istituzioni per incontri fisici, ma devono diventare anche piattaforme per incontri virtuali.

Peter Weibel, direttore del Zentrum für Kunst und Medientechnologie di Karlsruhe

Quando l’arte sfugge a ogni definizione, nasce Stravaganze Imperiali

Quando si parla di mostre immersive, si pensa immediatamente alle scenografiche proiezioni dei quadri più famosi al mondo. “Imagine Van Gogh”, ad esempio, è stata una delle prime: le proiezioni dei quadri più famosi di Van Gogh hanno fatto il giro del mondo, da Parigi all’America.

Non c’è limite all’innovazione, però, quando arte e tecnologia si prendono per mano. Oltre a queste classiche mostre immersive, che proiettano sulle pareti di una stanza i quadri più famosi sottoforma di immagini, esistono artisti che danno vita a progetti nati per offrire un tipo di esperienza immersiva. Tra questi, come non menzionare l’artista giapponese di fama internazionale Yayoi Kusama, che ha dato vita alle sue “Infinity Mirror Rooms”, visitabili al Tate Modern di Londra. Si tratta di uno spazio al di fuori di qualsiasi dimensione temporale, un universo senza limiti in cui perdersi tra giochi di luci, pois e specchi

mostre immersive

Anche in Italia, il fervore per l’arte ibrida e digitale non è da meno: Stravaganze Imperiali, la nuova mostra-evento di Sirmione (visitabile dal 2 giugno al 30 luglio), ne è la dimostrazione. Un progetto multimediale imponente portato alla luce dall’artista e curatrice Vera Uberti e proposto da MAI MUSEUM, con la collaborazione della Direzione Regionale Musei della Lombardia e del Comune di Sirmione. L’evento artistico multimediale scardina tutti i preconcetti su questo – innovativo - modo di fruire l’arte.

Definirlo è difficile, etichettarlo impossibile. Una mostra, un evento ma non solo: un modo per dare voce alle bellezze del territorio di Sirmione. Il sito archeologico “Le Grotte di Catullo” accoglie le magnifiche opere fotografiche di - nientedimeno che - David LaChapelle creando un dialogo tra passato e presente e tra forme d’arte così diverse, eppure, così comunicanti. Le rovine romane rinascono in chiave contemporanea e tra le otto maxi installazioni dell’artista Vera Uberti, le opere di LaChapelle si palesano all’improvviso, tra i suoni e i rumori che le circondano. Quello che rende “Stravaganze Imperiali” una mostra immersiva superiore, è la capacità di aver creato il nuovo nel vecchio. Quella temporale, però, non è la sola dimensione che viene esplorata. L’idea che sottende tutto il progetto è, infatti, l’idea che l’arte possa comunicare con il paesaggio e valorizzarlo. Il merito del MAI Museum e di Stravaganze Imperiali, dunque è quello di aver dato una vita nuova a un sito archeologico, colmandolo di rinnovati significati. L’esperienza non è solo legata all’arte ma, grazie alla tecnologia, è indissolubilmente legata al territorio.

Non si tratta, dunque, soltanto di una mostra ma di un’iniziativa che promuove davvero la cultura in tutte le sue forme. 

Come te lo immagini il museo del futuro?

Esatto, come te lo immagini?

Di certo, il plus dell’arte immersiva è che permette di coinvolgere il visitatore e renderlo protagonista. È un’arte che interessa quanti più sensi possibili e che mette al centro l’individualità di chi la fruisce. Un po’ come gli innovativi musei “instagrammabili”, uno dei motivi del successo di questo tipo di arte è la possibilità di giocarci. Lo stesso Instagram ha un ruolo cruciale: spesso i visitatori immortalano l’esperienza in foto e la pubblicano sui social: nascono scatti dall’estetica affascinante e, diciamolo, acchiappa-like!

La scelta di come vivere lo spazio è quanto di più innovativo ed è, ovviamente, permesso dalla tecnologia.
La vera magia, però, avviene quando passato e presente comunicano tra loro. Se da una parte le mostre immersive classiche hanno il merito di rendere popolare e accessibile l’arte, ciò a cui si potrebbe aspirare è il dialogo. È qui che si riscontra il vero valore aggiunto della tecnologia all’arte: quando il digitale riesce a connettere più dimensioni (quella fisica, virtuale ma anche dimensioni temporali diversi come passato e presente), avviene qualcosa che assomiglia all’arte del futuro

Il museo del futuro sarà probabilmente digitale. Quello che dobbiamo sperare, è che non ci si dimentichi del passato. Che lo si integri e lo si faccia comunicare con la tecnologia.

Ancora una volta, la parola d’ordine che deve guidare il processo di evoluzione degli spazi museali del futuro è una (o almeno, ce lo auguriamo): connessione

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