Cos’è la hustle culture e cosa ci insegnano le nuove generazioni
di Redazione 18 Ottobre 2022 •
di Redazione 18 Ottobre 2022 •
Vivere per lavorare o lavorare per vivere, questo è il dilemma. Quante volte ti è capitato di essere così preso da un progetto da non renderti conto delle ore lavorate dietro una scrivania? “Un’ultima modifica” ti dici, ma poi va a finire che il corso di pilates non lo inizi mai.
Per alcune persone questo non è solo un'eccezione, ma una routine costante, disseminata da straordinari, ritmi stressanti e continue pressioni.
Stiamo parlando, in parole povere, di hustle culture, secondo cui più lavori, più guadagni e quindi più avrai successo nella vita. Ma è vero che dedicare tutto il proprio tempo al lavoro porta solo aspetti positivi?
Fondamentalmente la hustle culture riguarda il lavoro che domina il nostro tempo in un modo così innaturale che non abbiamo tempo per vivere le nostre vite.
Joe Ryle, direttore della campagna 4 Day Week
Ritmi di lavoro stressanti, straordinari e smartphone always on per essere sempre reperibili. Questi e altri gesti, entrati nella routine lavorativa di molti, derivano della cosiddetta hustle culture o cultura della frenesia. Diffuso a partire dal 21° secolo con la Grande Recessione del 2008, questo approccio al lavoro è diventato popolare tra i lavoratori portati a reggere ritmi frenetici, con disponibilità 24h su 24, 7 giorni su 7, per riuscire a raggiungere il successo in un periodo economico di crisi.
Al gioco della hustle culture vince chi lavora più ore, chi sacrifica il proprio tempo libero, spesso senza rendersene conto. Oggi, poi, la sensazione di non staccare mai può riproporsi in modo sempre più concreto, anche a causa della tecnologia. E tutto per un aumento, una promozione o spesso anche solo per sentirsi appagati. Un comportamento che può sembrare lodevole, ma che con il tempo può portare a effetti negativi sulla salute mentale, fisica ed emotiva. Perché, come per ogni cosa, il troppo stroppia. Ma come rendersi conto di far parte di questa cerchia? Ecco i 7 comandamenti per i seguaci della hustle culture:
La ribellione della Generazione Z alla hustle culture
Il risultato di tutto questo stress mentale ed emotivo? Secondo uno studio di Deloitte, ben il 77% delle persone ha sperimentato il burnout sul lavoro e il 42% ha lasciato il posto perché esaurito.
Con l’arrivo della pandemia, però, le cose stanno cambiando. Si sta evolvendo l’approccio al lavoro, specie da parte dei Millennials e della Gen Z: i giovani dipendenti non vedono più attraente il lavoro senza sosta per raggiungere posizioni di rilievo. La propria vita personale e la salute mentale stanno diventando sempre più prioritarie, e il movimento della YOLO Economy ne è portavoce. Secondo l’indagine di Personio, negli ultimi due anni il 23% delle persone ha lasciato il lavoro a causa di un peggioramento del work life balance, mentre il 21% per via della cultura tossica sul posto di lavoro.
Parallelamente a questo evento che prende il nome di Great Resignation e che ha visto milioni di persone in tutto il mondo dare le dimissioni, ha preso sempre più piede il fenomeno del quiet quittinq, ovvero la volontà dei dipendenti di lavorare il minimo indispensabile per non essere licenziati. Sostanzialmente una vera e propria controtendenza alla hustle culture, che vuole evitare il bournout lavorativo dando più importanza alla salute e al benessere personale.
Ma allora qual è il vero segreto per il successo?
Great resignation, quiet quitting, smart working e settimana lavorativa corta sono solo alcuni segnali che mostrano l’inizio del cambiamento.
Per molti imprenditori questo nuovo approccio potrebbe sembrare svantaggioso, poco producente. In realtà lavorare meno, concedersi le giuste pause e il meritato riposo incoraggia e motiva i dipendenti a fare meglio, aiutandoli a lavorare con una mente più chiara e lucida.
Diventa necessario rispettare gli orari, prendersi del tempo per spegnere la mente per recuperare la concentrazione. E ci sono molti dati che dimostrano che i dipendenti più produttivi sono quelli che fanno pause regolari, che non associano il tempo libero alla pigrizia, ma alla crescita e all’amore per se stessi.
Quindi, dire che “I giovani non hanno più voglia lavorare” è completamente errato. I giovani sono tra i lavoratori più proattivi ed energici, semplicemente hanno rivisto le loro priorità. Si preoccupano di prendersi cura di sé, vogliono sviluppare hobby al di fuori del lavoro e trascorrere tempo di qualità con la famiglia e gli amici. Insomma, hanno capito che non siamo macchine e mai lo saremo. È davvero così sbagliato?