Il problema del fast fashion e il reale costo dei nostri vestiti

di Redazione 7 Ottobre 2022 •

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Vestiti, scarpe, borse, accessori. Più ne abbiamo e meglio stiamo. Ma il nostro pianeta quanto ancora potrà sopportare questa mole di acquisti dettati dalla moda del momento? Ecco quello che si nasconde dietro le vetrine fast fashion e il loro inquinamento.

Comprare abbigliamento fast fashion è come mangiare dolci: sappiamo che fa male, ma non riusciamo a smettere. Forse perché è pratico, sempre al passo con le tendenze e anche low cost. E sarebbe tutto perfetto, se non avesse anche così tanti lati negativi. Rifiuti, inquinamento, sfruttamento dei lavoratori e diminuzione delle risorse naturali. Probabilmente la nostra maglietta preferita nasconde tutto questo.

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È l’abbigliamento realizzato in grandi quantità e alla velocità della luce venduto a prezzi stracciati in migliaia di negozi in tutto il mondo. Copiano la moda dei top designer, e ne realizzano una versione economica. Hanno un modello di business incentrato sull’economia di scala ed è per questo che ci ritroviamo inondati di vestiti

Dana Thomas, autrice di “Fashionopolis: The Price of Fast Fashion and the Future of Clothes

Qualità è meglio di quantità, ma non per il fast fashion

Dai vestiti scopiazzati dalle passerelle di alta moda, alle nuove collezioni continuamente riassortite. Il fast fashion ci ha viziato, ci ha fatti sentire come quelle celebrità che non possono indossare lo stesso capo più di una volta perché ormai vecchio. La maggior parte dei vestiti che compriamo - spesso compulsivamente - ci piacciano per una stagione o poco più, poi ce li dimentichiamo nell’armadio quando esce quel nuovo modello che vogliamo a tutti i costi. Questo lo facciamo principalmente per due motivi: la moda cambia molto velocemente e i tessuti degli abiti low cost spesso sono di bassa qualità e non durano a lungo. Non per niente il fast fashion viene spesso associato al concetto di “usa e getta”.

Le aziende del settore, infatti, riescono ad offrire vestiti a prezzi stracciati in modo che siano accessibili a quante più persone possibile. La domanda è altissima e per soddisfarla producono in serie una quantità di abbigliamento che potrebbe vestire 25 volte la popolazione mondiale in un solo anno. Ma come possono produrre così tanto? Non dipende solamente dall’uso di tessuti di scarsa qualità, ma anche dalle condizioni di lavoro dei dipendenti. Bangladesh, Pakistan, Thailandia. È qui che la maggior parte dei capi delle big companies viene prodotta, paesi in cui la manodopera costa pochissimo. La giornalista e autrice di moda Dana Thomas scrive: “Se qualcosa costa $ 19,99, la regola generale è che probabilmente la persona che l’ha fatta è stata pagata 19 centesimi”.

Siamo davvero malati di shopping? Ecco quanto inquina il fast fashion

Quando troviamo una maglietta che costa 5 euro ed esclamiamo “che affare!”, forse è il caso che iniziamo a pensare due volte. Mi serve davvero? Lo indosserò? Se non la compro mi succederà qualcosa di terribile? Se la risposta a tutte queste domande è no, allora siamo sulla buona strada. Anche perché, siamo sinceri, quanti sono davvero i vestiti che alla fine indossiamo?

Eppure, dalle statistiche del Parlamento europeo emerge che ogni cittadino del continente consuma 26 kg di vestiti e ne butta circa 11 kg ogni anno! Di questi, l’87% finisce nelle discariche o vengono inceneriti, altri sono smaltiti fuori dall’UE, come nel - purtroppo ormai famoso - deserto del Cile, trasformato nel cimitero del fast fashion.

L’industria tessile infatti è la seconda più inquinante per l’ambiente: è responsabile del 10% delle emissioni di gas serra mondiale, dal 20% al 35% della microplastica trovata negli oceani e consuma 98 milioni di tonnellate di risorse non rinnovabili ogni anno. Per esempio, per produrre un paio di jeans sono necessari 7.000 litri d’acqua, la quantità che una persona occidentale beve in 5 anni. Se poi pensiamo che vengono prodotti circa 2 miliardi di jeans all’anno, i numeri diventano incredibili. Possiamo fare qualcosa per aiutare il pianeta e allo stesso tempo soddisfare la nostra voglia sfrenata di shopping?

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Fast fashion e sostenibilità, la guida etica allo shopping

Acquistare con responsabilità e prendere coscienza di quanto i nostri amati vestiti danneggino l’ambiente è fondamentale per spezzare la catena. Certo è che non possiamo smettere di comprare abbigliamento, ma possiamo rivedere le nostre abitudini senza doverci vestire con foglie di palma. Ecco qualche tips utile per fare uno shopping più sostenibile:

  • Comprare meno vestiti, ma soprattutto comprare meglio e di qualità, prediligendo fibre naturali o bio-based più facili da riciclare, più sostenibili e che durano di più.
  • Preferire la moda second hand, dando nuova vita a vecchi vestiti. È incredibile quanti bei capi (anche di lusso) si possono trovare al mercatino dell’usato senza dover spendere una fortuna!
  • Vendere e riciclare i vestiti che non ci servono è altrettanto utile, sia per il nostro portafoglio sia per limitare l’inquinamento delle discariche.
  • Utilizzare lavaggi a basse temperature per diminuire il rilascio di microplastiche dei capi sintetici nell’acqua e per far durare di più i tessuti.
  • Smettere di farsi influenzare dai social e dalla moltitudine di video haul che ci bombardano e ci guidano verso acquisti d'impulso spesso no sense.

Insomma, prima di acquistare un nuovo capo è importante fermarsi a riflettere sul reale costo di quel vestito da 20€ che, si sa, ben presto finirà sul fondo del nostro armadio.

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