Come dovrebbe essere una città a misura (anche) di donna?

di Redazione 21 Ottobre 2023 •

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Nei centri urbani le esigenze delle donne si ritrovano spesso ad essere trascurate. Ma un’alternativa è possibile.

Traffico, inquinamento, rumore di fondo: si sa, la vita di città non è tutta rose e fiori. Ma c’è chi ha anche altri ostacoli da affrontare, oltre al solito tran tran.

Nella maggior parte delle città, anche in quelle in cui si stanno sperimentando innovazioni e tecnologie d’avanguardia, spesso e volentieri le donne vedono trascurate le proprie esigenze. E no, non parliamo di negozi e centri estetici, ma di difficoltà e opportunità mancate che sembrano aumentare, anziché tendere allo zero.

Strade poco (o per niente) illuminate, bagni pubblici dalle file interminabili e raramente dotati degli accessori igienici necessari. E ancora, fermate degli autobus desolate, strade e marciapiedi rovinosi per i pedoni, figuriamoci per passeggini e carrozzine. Sembra proprio che le città non siano costruite per essere a misura di donna. E infatti…

città più inclusiva per le donne

Città: sostantivo femminile di nome, ma non di fatto

“Una città a misura di donna, l’ultima trovata delle femministe” diranno alcuni. “Palazzi colorati e fiori alle finestre” penseranno altri. Eppure, quella di avere degli spazi più inclusivi per tutti, e più consapevoli delle esigenze femminili, è una necessità strutturale.

Secondo i dati ISTAT sono le donne che, più spesso, si muovono a piedi all’interno dei centri urbani (26,7% contro 20,3% di uomini) o utilizzano il trasporto pubblico (il 9,6% contro il 4,9%).

In più, inutile negarlo, la cura di figli e anziani, come della casa, è ancora un’area di responsabilità tipicamente associata alle donne. Il 75% svolge mansioni di assistenza e, per farlo, percorre più spesso strade fuori dal centro storico, le stesse che presentano le principali criticità dell’assetto urbano.

Collegamenti non ottimali e zone che, non essendo considerate di passaggio, spesso non hanno un’illuminazione tale da garantire serenità, soprattutto nei tragitti serali. Cattiva manutenzione delle strade che passeggini e carrozzine affrontano a fatica. Bagni pubblici, spesso insufficienti, davanti ai quali si creano file interminabili e in cui raramente è possibile trovare gli accessori igienici necessari.

E no, tutto questo non è (o non dovrebbe essere) l’inevitabile costo di vivere in città.

Le città (non) sono roba per donne!

Ma allora, per chi sono pensate le nostre città?

Le decisioni che riguardano lo sviluppo dei centri urbani vengono tendenzialmente prese da persone appartenenti a categorie privilegiate e dominanti, quasi sempre uomini. Insomma, sono cose da uomini!

Dallo sport allo studio, dalle professioni alle responsabilità: quel divario di genere che, sotto gli occhi di tutti, spesso caratterizza usi e costumi della nostra società, sono gli stessi che ritroviamo nelle città in cui abitiamo e che non dovrebbero avere nulla a che fare con i concetti di “maschio” e “femmina”.

Prova a immaginare. Quegli angoli bui e desolati da cui spesso si evita di passare, finalmente illuminati. Comodi bagni pubblici con appositi spazi per l’allattamento e dispositivi igienici gratuiti. Rampe per affrontare i marciapiedi e mezzi pubblici con spazi adatti a tutti.

Non solo: quante volte, passeggiando, ti è capitato di vedere cartelli stradali e monumenti pubblici intitolati a donne? Poche, non è vero? E quante, invece, a uomini? Probabilmente, molte. Eppure, l’inclusione di genere passa anche da qui e omaggiare conquiste e meriti delle donne è il primo modo per riconoscerne la presenza e l’importanza.

Non rosa, ma più inclusive: missione impossibile per le città?

Ebbene no, nulla è impossibile e c’è chi un passo avanti l’ha già fatto.

Alcune città europee si sono particolarmente distinte per aver adottato un modello urbanistico più inclusivo, chi progettando nuovi complessi residenziali e chi ripensando all’assetto della città e al passaggio del traffico.

Nell’ideazione del quartiere di Aspern, a Vienna, sono stati coinvolti i cittadini che sarebbero andati ad abitarlo, raccogliendo da loro spunti, suggerimenti e necessità. Il risultato? Spazi all’insegna della sicurezza, un asilo nido e depositi per passeggini, spazi esterni che favoriscono l’incontro e la socialità, appositi appartamenti per anziani e disabili.

Parigi ha puntato sulla prossimità, facendo proprio il concetto della città dei 15 minuti: scuola, lavoro, assistenza sanitaria, il tutto a portata di bici!

A Barcellona invece, il programma Superblocks ha spostato il traffico carrabile all’esterno del quartiere, rendendolo totalmente pedonale e più sicuro per i soggetti che più spesso si muovono a piedi, tra cui le donne.

Sono solo alcuni esempi di come, con le giuste accortezze, una città possa cambiare volto e vestirsi di inclusività. Un potenziale enorme che i nostri centri urbani già hanno e che potrebbero sfruttare al meglio. Ad esempio, per promuovere la parità di genere e ripartire opportunità e responsabilità in modo uniforme. Ma soprattutto per rispecchiare la nostra società per com’è davvero, con tutte le persone che la compongono, finalmente, ascoltate e rappresentate. 

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