Scienza è femminile, plurale: perchè colmare il divario di genere

di Redazione 10 Febbraio 2023 •

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Blu è da maschio, rosa da femmina. Calcio è per i bambini, danza per le bambine. Scienza uomo, materie umanistiche donna. Barriere strutturali, bias e stereotipi di genere si sono inculcati negli usi e costumi della nostra società, fino a incidere tendenze che sembrano più leggi scolpite nella pietra tanto sono difficili da sradicare. Leggi che impediscono alle donne di accedere ad alcuni settori, come quello scientifico.

Scienza”: sostantivo femminile plurale.

No, non ci stiamo sbagliando, è proprio corretto. Anzi, è come dovrebbe essere se fosse corretto. E invece ad oggi la Scienza non è affatto aperta a una pluralità femminile. Al contrario, si tratta di un campo ancora lontano dall’essere inclusivo, in cui le dinamiche patriarcali faticano a sradicarsi e – in parole povere –ci sono ancora (troppe) poche donne.

Marie Curie, Rita Levi Montalcini, Samantha Cristoforetti: nomi che fanno chiasso perché sono ancora, purtroppo, eccezioni.

Le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) sono caratterizzate da un divario di genere ancora consistente. Questi settori sono poco accessibili a donne e ragazze che, per fare strada in questi ambiti, devono faticare il doppio rispetto ai propri coetanei. Ma da che cosa dipende questa tendenza? Forse, all’alba del 2023, vale la pena riflettere su questa domanda e soprattutto, provare a dare una risposta.

quote

Abbiamo bisogno delle prospettive femminili per assicurarci che la scienza e la tecnologia funzionino per tutti.

António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite

“Classiche lamentele da femministe”, diranno gli invidiosi

E invece, i dati ci danno ragione. Per dare un’idea, basti pensare che tra i laureati in ingegneria le donne sono solo una piccolissima fetta che raggiunge il 28%. Nella ricerca, solo il 33,3% è occupata da professioniste donne che – ovviamente – ricevono borse significativamente inferiori a quelle dei colleghi uomini. Non è finita qui: secondo un rapporto sociale dell’Unesco, il 72% degli scienziati del mondo è uomo, il 97% per quanto riguarda l’informatica.
Neanche a dirlo, la pandemia ha ulteriormente aggravato queste ineguaglianze di genere dal momento che la chiusura delle scuole ha messo a dura prova l’accesso alle risorse educative per le ragazze.

Si potrebbe andare avanti all’infinito nell’elencare dati ed evidenze che dimostrano il gender gap nel mondo delle scienze ma, insomma, il punto è chiaro. C’è un divario netto tra i due sessi e una barriera invisibile che impedisce alle donne di fornire il loro contributo al progresso tecnico-scientifico.

donna scienziata

Il gender gap è un problema di tutte. E tutti.

L’urgenza dell’argomento è tale da aver scomodato niente di meno che le Nazioni Unite. L’eguaglianza e l’emancipazione femminile sono, sin dalla fondazione dell’ONU, riconosciuti come contributi cruciali allo sviluppo economico globale. Insomma, il problema non è solo delle donne, l’ONU lo sa bene. È per questo motivo che il cambiamento necessita di uno sforzo comune. Nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, infatti, uno dei 17 obiettivi è dedicato proprio al tema della parità di genere e si articola in diversi punti, tra cui:

  • Porre fine alla discriminazione nei confronti di donne e ragazze;
  • Eliminare ogni forma di violenza nei confronti di donne e bambine;
  • Eliminare ogni pratica abusiva come il matrimonio combinato;
  • Riconoscere e valorizzare la cura e il lavoro domestico non retribuito;
  • Garantire accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo;
  • Avviare riforme per dare alle donne uguali diritti di accesso alle risorse economiche;
  • Rafforzare l’utilizzo di tecnologie abilitanti per promuovere l’emancipazione della donna;
  • Adottare e intensificare una politica sana ed una legislazione applicabile per la promozione della parità di genere.

Qualcuno starà pensando: “tutto bellissimo, ma noi cosa possiamo farci?”.
È chiaro che il raggiungimento di alcuni obiettivi è in mano alle istituzioni, com’è altrettanto chiaro che a volte, l’ostacolo di cui stiamo parlando parte proprio dal basso: da noi.

Una barriera invisibile fatta di stereotipi e pregiudizi

Ebbene sì, è facile incolpare qualcosa di astratto, più grande e lontano da noi. Le differenze culturali, le istituzioni che non funzionano come dovrebbero, il sistema scolastico e l’istruzione.
Più difficile, invece, riconoscere che tutti hanno un pezzetto di responsabilità. I bias, i pregiudizi e gli stereotipi di genere vivono e si alimentano nella testa delle persone ma si manifestano nella realtà.

Forse, è (anche) da qui che bisogna partire: iniziare a sfatare i falsi miti e le convenzioni sociali che impongono ai maschi di vestirsi di blu, e alle femmine di rosa. Perché l’evoluzione di quella che può sembrare una semplice abitudine, un’ingenua tradizione, portano ai dati che abbiamo visto sopra.
Se le aspirazioni lavorative delle bambine vengono plasmate da ciò che hanno intorno, allora forse è il caso di partire proprio da lì, da ciò che sembra la più banale delle soluzioni: l’educazione.

Forse nessuno di noi da solo può cambiare il mondo, ma magari si può regalare a propria figlia il kit dello scienziato, se lo desidera. È il primo passo per far sì che sia lei a cambiare il mondo.

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