La pandemia ha aggravato il problema della plastica negli Oceani?
di GreenMe 8 Giugno 2022 •
di GreenMe 8 Giugno 2022 •
25.900 tonnellate, equivalenti a oltre 2.000 autobus a due piani. Questa è l’impressionante quantità di rifiuti di plastica generati dalla pandemia di Covid-19 che è finita dispersa negli oceani.
A rivelarla e quantificarla scientificamente è uno studio pubblicato lo scorso novembre, il primo a mettere nero su bianco l’impatto devastante delle nostre mascherine e altri dispositivi di protezione.
Questi ultimi sono diventati migliaia di tonnellate di rifiuti finite negli oceani (dall'inizio della pandemia fino ad agosto del 2021), trasportate dai 369 fiumi principali del Pianeta Terra. I fiumi asiatici rappresentano il 73% dello scarico totale di questa plastica, con i fiumi Shatt al-Arab, Indo e Yangtze, in vetta alla classifica negativa.
Questi corsi d’acqua, tra i più grandi della Terra, sfociano nel Golfo Persico, nel Mar Arabico e nel Mar Cinese Orientale. I fiumi europei rappresentano l'11% dello scarico, con contributi minori da altri continenti.
Il 46% di questi rifiuti mal gestiti proviene dall'Asia, seguita da Europa (24%), Nord e Sud America (22%).
Le conseguenze dell’inquinamento da plastica negli oceani
«Entro tre o quattro anni, una parte significativa di questi detriti di plastica oceanica dovrebbe raggiungere le spiagge e i fondali marini. Una porzione più piccola, si legge nello studio, andrà in mare aperto, per essere infine intrappolata al centro dei bacini oceanici o dei vortici subtropicali e diventare una zona di accumulo di plastica circumpolare nell'Oceano Artico».
In pratica, le nostre mascherine finiranno per circolare o stabilirsi nell'Oceano Artico, che secondo gli autori dello studio è il "vicolo cieco" dei detriti di plastica trasportati, una sorta di “estuario” che accumula ogni tipo di rifiuto rilasciato dai continenti.
Non si tratta di una infausta profezia, ma di qualcosa che sta già avvenendo sotto i nostri occhi.
Uno studio pubblicato a marzo, per esempio, aveva rilevato il primo caso ufficialmente registrato di un pesce intrappolato in un guanto medico, riscontrato durante la pulizia di un canale a Leiden, nei Paesi Bassi. In Brasile, poi, una mascherina PFF-2 è stata trovata nello stomaco di un pinguino di Magellano morto.
Ecco dove stanno finendo i nostri dispositivi di protezione dal Covid.
La pandemia di Covid-19 ha portato a un aumento della domanda di plastica monouso che intensifica la pressione su un problema globale dei rifiuti di plastica già fuori controllo. La plastica rilasciata può essere trasportata su lunghe distanze nell'Oceano, incontrare la fauna marina e, potenzialmente, causare lesioni o addirittura la morte.
spiegano Yiming Peng e Peipei Wu dell'Università di Nanchino, autori dello studio pubblicato sulla rivista PNAS
Siamo davanti a una tragedia di proporzioni disastrose. Si prevede che la zona di accumulo di plastica circumpolare si formerà entro il 2025.
Possiamo fermarla? Sì, almeno in parte.
Per combattere l'afflusso di rifiuti di plastica negli oceani, gli autori sollecitano una migliore gestione dei rifiuti sanitari, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Bisogna poi sensibilizzare l'opinione pubblica sull'impatto ambientale dei dispositivi di protezione individuale e di altri prodotti in plastica, ma anche sviluppare tecnologie innovative per una migliore raccolta, classificazione, trattamento e riciclaggio dei rifiuti di plastica e lo sviluppo di materiali più rispettosi dell'ambiente.
«In effetti, la plastica correlata al COVID è solo una parte di un problema più grande che dobbiamo affrontare nel 21° secolo: i rifiuti di plastica», conclude Zhang. «Per risolverlo sono necessari molti rinnovamenti tecnici, transizione economica e cambiamento dello stile di vita».